“L’inferno non esiste, i lager sì”. Con questa sola frase, pronunciata dal protagonista in chiusura, si
può capire la terribile storia di un ragazzino innocente nei campi di
concentramento. Il film mi è piaciuto molto. È proprio bello e fatto bene e non
una pellicola sempliciotta che narra in modo superficiale. Infatti Gyuri,
quattordicenne ungherese di origini ebree, è costretto ad andare nei campi di
concentramento di Auschwitz e Buchenwald. Qui passerà giorni terribili, farà
sovrumani sforzi e conoscerà persone che lo aiuteranno.
Uno in particolare è un signore più vecchio e da anni è trasferito di campo in campo; ma non si arrende. Insegna al ragazzo quelle piccole, ma poi essenziali, regole per sopravvivere a questo inferno. Vedo in questo personaggio una figura di “speranza”, un punto di riferimento da seguire, un faro in una notte tempestosa, perché nell’oscurità della guerra e torture, ci vuole sempre quel pizzico di fede. E forse è proprio sotto questa guida, Gyuri si salva. Quando torna a casa, alla fine del film, si sente in sottofondo la sua voce che racconta (caratteristica, anche questo particolare di far narrare la storia e i sentimenti dal protagonista stesso, per fare più effetto). Tutti gli chiedono delle atrocità del campo di concentramento, ma mai dell’allegria. Di certo non c’era tanta felicità, ma gli sguardi che si scambiano gli attori e la scelta di un cambio immagine per dissolvenza, danno un po’ di fiducia nel futuro del ragazzo. Una scena che mi è piaciuta molto è stata quella in cui uno dei prigionieri, quello un po’ matto, incontra Gyuri per il pranzo: guardandosi le camicie si domandano cosa significhi la lettera U. Naturalmente tutti sanno che la U sta per Ungheria, ma la risposta che dà il signore è significativa: “innocenti”. E poi se ne va, come se volesse far riflettere lo spettatore sulla tragedia del passato e sul compito di non permettere il ripetersi nel futuro. Le musiche sono belle e adeguate, l’atmosfera è resa un po’ cupa e triste, probabilmente per il colore scelto dal regista per riprendere l’intera vicenda. Bravi gli attori. Come ho detto il risultato è un ottimo film da far vedere a tutte le classi a scuola, sia per motivi storici, ma anche culturali e di rispetto.
Uno in particolare è un signore più vecchio e da anni è trasferito di campo in campo; ma non si arrende. Insegna al ragazzo quelle piccole, ma poi essenziali, regole per sopravvivere a questo inferno. Vedo in questo personaggio una figura di “speranza”, un punto di riferimento da seguire, un faro in una notte tempestosa, perché nell’oscurità della guerra e torture, ci vuole sempre quel pizzico di fede. E forse è proprio sotto questa guida, Gyuri si salva. Quando torna a casa, alla fine del film, si sente in sottofondo la sua voce che racconta (caratteristica, anche questo particolare di far narrare la storia e i sentimenti dal protagonista stesso, per fare più effetto). Tutti gli chiedono delle atrocità del campo di concentramento, ma mai dell’allegria. Di certo non c’era tanta felicità, ma gli sguardi che si scambiano gli attori e la scelta di un cambio immagine per dissolvenza, danno un po’ di fiducia nel futuro del ragazzo. Una scena che mi è piaciuta molto è stata quella in cui uno dei prigionieri, quello un po’ matto, incontra Gyuri per il pranzo: guardandosi le camicie si domandano cosa significhi la lettera U. Naturalmente tutti sanno che la U sta per Ungheria, ma la risposta che dà il signore è significativa: “innocenti”. E poi se ne va, come se volesse far riflettere lo spettatore sulla tragedia del passato e sul compito di non permettere il ripetersi nel futuro. Le musiche sono belle e adeguate, l’atmosfera è resa un po’ cupa e triste, probabilmente per il colore scelto dal regista per riprendere l’intera vicenda. Bravi gli attori. Come ho detto il risultato è un ottimo film da far vedere a tutte le classi a scuola, sia per motivi storici, ma anche culturali e di rispetto.
Bel lavoro, brava Francesca. Mi è molto piaciuto il tentativo di spaziare dal contenuto ad aspetti tecnici. Ti ho fatto delle correzioni che rendevano meno fluido il testo (qualche altra ortografica). Ho anche aggiunto le etichette. Una foto non ci starebbe male! So che è un compito fatto un po' per sbaglio (nostro)... ricordami, in classe, di chiedere ad altri che lo hanno svolto comunque con impegno di darmelo per valorizzarlo. Il tuo, davvero, meritava.
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